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avvocato
Barbara Ballarati

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI GENOVA
DIMEL- SEZIONE DI CRIMINOLOGIA E PSICHIATRIA FORENSE
MASTER IN CRIMINOLOGIA E SCIENZE PSICHIATRICO FORENSI
Presidente: Prof. Tullio Bandini
“EROI DI VETRO”
L’ABUSO SESSUALE SU MINORI NELLE RELAZIONI CON I GENITORI E NELLA DIMENSIONE SIMBOLICA
Relatore: Chiar.mo Prof. Giuseppe Armocida
Tesi di specializzazione di Barbara Ballarati
Anno accademico 2006 -2007
LO STRAORDINARIO RISIEDE NELLA VITA DELLE PERSONE FELICI -LA STRADA PER TORNARE A CASA
“Dell’anima, propriamente, può parlarne solo un dio. L’uomo può solo accennarne per simboli ed immagini” ( Platone, Fedro, 246 a)
“LA STRADA PER TORNARE A CASA”
Con la presente trattazione non ci si propone di analizzare il “fenomeno” degli abusi sessuali sui bambini in ambito intrafamiliare, ma di parlare di esso realizzando una sorta di catarsi personale indirizzata a chiunque desideri rivolgersi in modo empatico alle esperienze altrui.
Non si assume il significato letterale del temine “fenomeno”, inteso come “fatto o evento suscettibile di osservazione o considerazione diretta o indiretta, provocato o meno dall’uomo” ma si accoglie, invece, l’accezione del termine resa dal filosofico Edmund Husserl secondo il quale i fenomeni non sarebbero fatti apparenti distinti dalla realtà in sé, ma realtà stessa presente nel pensiero del singolo quale è, e che si manifesta alla coscienza individuale nella sua essenza non mediata da rielaborazioni intellettive intermedie.
Attraverso la prospettiva sopra descritta, si intende rilevare che ogni esperienza di vissuto personale, rielaborata dal linguaggio in un pensiero diviene realtà immediata nel pensiero dell’individuo cui viene riportata e che, come tale, deve poi essere ulteriormente rielaborata e mediata per essere collocata in una dimensione “accettabile” della storia collettiva e della storia individuale. Si ha la percezione e la consapevolezza che una volta intrapreso questo percorso, relativo all’abuso sessuale nelle relazioni familiari, la nostra realtà interiore sarà “cambiata” e non ci sarà più concesso di essere “gli stessi di prima”.
Entrare in contatto con il dolore di coloro che hanno vissuto questa esperienza, significa percorrere insieme le tappe di una vita la cui identità è stata violata e che, in qualche modo, ci induce a smarrire la nostra attraverso l’immedesimazione e l’empatia.
La personale presa di coscienza e la rielaborazione degli argomenti trattati costituiscono i “sassolini bianchi” della strada che conduce fuori dal bosco verso casa. La “favola di Pollicino” ci consente di entrare in una dimensione diversa dalla visione ordinaria della realtà, dove ogni gesto è faticoso e caricato di forte significato simbolico, dove la percezione è ingigantita ed il linguaggio delle vittime è quello dei “piccoli” e degli “adolescenti”.
“Trovare la strada per tornare a casa” significa partire dal presupposto che l’essere umano è meta-ψϋχή e meta-σώμα. I gesti, i ruoli, i linguaggi del corpo e dell’anima sono anche “simboli” che ognuno ha costruito dentro di sé e che la società ha edificato nella collettività.
Come afferma il filosofo Cassirer[1] l’uomo è un “animale simbolico” poiché si costituisce come tale, pervenendo alla sua essenza, mediante una continua opera di simbolizzazione. L’essere umano, infatti, produce simboli per natura e, attraverso l’attività simbolica, plasma il molteplice sensibile, costituendo sé stesso ed il mondo. Il simbolo è essenzialmente mediazione: è l’espressione di una realtà spirituale mediante segni ed immagini sensibili.
L’uomo non sa crescere né vivere senza simboli, la “realtà” è anche meta-realtà, la “strada”, meta- strada.
In quest’ottica “la casa” diviene un luogo della mente, la dimensione simbolica del nostro essere, dell’accettazione di esso e della nostra identità.
La madre, il padre, sono i simboli che ci siamo creati, “gli eroi” di ogni bambino…
[1] Ernst Cassirer , Il linguaggio, in Filosofia delle forme simboliche, La nuova Italia, Firenze 1996, pag.27
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IL CONFLITTO NELLE RELAZIONI
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Il conflitto come “ambivalenza psichica” nelle relazioni familiari
“yet each man kills the thing he loves, by each let this be heard, some do it with a bitter look, some with a bitter look, some with a flattering word, the coward does it with a kiss,
the brave man with a sword!”. [1]
(Ballad of Reading Goal, Oscar Wilde)
“Il conflitto è una dimensione normale di ciascuno di noi” affermava Bowlby[2].
La dimensione conflittuale è intrinseca nell’essere umano: ogni giorno siamo costretti ad effettuare delle scelte tra gli opposti interessi che dimorano dentro di noi e tra gli impulsi inconciliabili che provengono dal corpo, dalla mente e dalla dimensione relazionale.
Freud per primo scrisse che già fin dai nostri primi anni di vita costituisce una regola e, non un’eccezione, l’essere spinti verso fratelli e genitori da sensazioni di odio e d’ ira così come di amore e sollecitudine.
Da questi sentimenti di conflitto ne derivano sentimenti di paura e senso di colpa che l’individuo deve imparare a dominare fin da bambino. Egli, infatti, se apprenderà fin da piccolo questa lezione, crescerà con la consapevolezza dell’esistenza al suo interno di impulsi contraddittori, ma sarà in grado di dirigerli e controllarli, pertanto l’angoscia ed i sensi di colpa che ne deriveranno, saranno sopportabili. Se, tuttavia, all’interno delle relazioni familiari il bambino non potrà sviluppare la fiducia nella possibilità di controllo delle proprie pulsioni, magari a causa di punizioni che suscitano una “paura” incontenibile (per esempio la paura per la propria incolumità fisica), egli svilupperà un forte sentimento di frustrazione ed al tempo stesso di odio che determineranno un senso di colpa “gigante”. Il bambino crederà allora di esser stato “davvero così monello” da meritarsi una punizione tanto grande[3]. In tutto questo agitarsi di pulsioni egli non sarà mai capace di mettere a fuoco le proprie pulsioni in termini di conflittualità “normale” e resterà in balia delle stesse, magari utilizzando, inconsapevolmente, espedienti psichici primitivi (proiezione, spostamento) nel tentativo di reprimere una od entrambe le componenti del “conflitto”.
[1] “eppure ogni uomo uccide le cose che ama/Fate che tutti sappiano questo/Qualcuno lo fa con uno sguardo amaro/Qualcuno con una parola adulatrice/Il vile lo fa con un bacio/il prode con una spada!”.
[2] Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi, Cortina Editore, Milano 1979 (pag. 7 e seg.).
[3] Il riferimento ad un linguaggio infantile permette, a mio avviso, di comprendere, in modo più immediato, il concetto che si sta esprimendo.